Pandemia e stranieri a Torino: il valore delle culture

Nuove Narrazioni
7 min readFeb 10, 2021

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Il seguente articolo è stato pubblicato dalla dott.ssa Lucia Portis, Educatrice Professionale e Antropologa della Salute, Unito e ASL Città di Torino, sul portale DORS — Centro Regionale di Documentazione per la Promozione della Salute. Tratta della collaborazione — tuttora in essere — fra ASL Città di Torino e il Comune nell’ambito del contenimento della diffusione del Covid e fa riferimento alla Rete Torino Plurale, messa in piedi dall’amministrazione locale torinese e dalle associazioni di comunità durante la fase acuta della pandemia.

La percezione interculturale della pandemia

La ripartenza della promozione della salute a Torino avviene con le comunità degli stranieri. Durante l’epidemia di Covid-19 le loro comunità sono state ritenute una risorsa inestimabile, perché utilizzano gli stessi linguaggi e sistemi simbolici. L’ASL e il progetto Rete Torino Plurale del Comune hanno interpellato e ascoltato le Associazioni di riferimento per essere di supporto alla comprensione dei provvedimenti e alla loro adesione.

Piazza Vittorio vuota durante il primo lockdown. Autore: Alessandro Di Marco | Copyright: ANSA

Durante la pandemia la gestione degli stranieri positivi è stata, ed è tuttora, particolarmente problematica poiché all’interno del sistema sanitario non sempre vengono prese in considerazione le differenze di significazione del virus, del contagio e della malattia da parte di chi arrivava da contesti lontani. Le idee di salute e malattia incarnano dimensioni culturali fondamentali, ossia interpretazioni associate a diverse condizioni fisiche e psicologiche di sofferenza e/o benessere, ma anche sistemi di conoscenze, di pratiche evolutesi per alleviare e prevenire la sofferenza o promuovere il benessere. Per costruire e realizzare interventi culturalmente appropriati occorre quindi prima comprendere profondamente queste interpretazioni mettendo tra parentesi le proprie matrici valoriali e culturali e attivando quella che Marianella Scavi chiama “Bisociazione cognitiva”. Tutto questo con l’aiuto dei destinatari, che diventano protagonisti attraverso processi partecipati.

Come scrive Ivo Quaranta,

«se una lezione le scienze sociali ci hanno portato, dall’analisi di passati fenomeni epidemici, è che a fare la differenza sono i comportamenti delle persone e, dunque, la capacità di coinvolgerle attivamente nei processi che le riguardano».

Quindi il cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi implica processi sociali complessi e richiede analisi che prendano in considerazione le prospettive dei singoli e delle comunità.

Partendo da questo presupposto abbiamo sviluppato un’azione congiunta e intersettoriale con il Comune di Torino e le Associazioni che a vario titolo sul territorio si occupano di stranieri e che aderiscono al progetto “Rete Torino Plurale” per riflettere sulla percezione del rischio legato al virus e sul supporto alle persone positive. Le Associazioni erano afferenti a comunità straniere o che lavorano da tempo nell’ambito dell’integrazione sociale con interventi di sviluppo di comunità, in particolar modo con le realtà più disgregate a livello sociale.

Tutto questo ha permesso di superare una visione universalistica “generalista”, che non bada alle differenze individuali e culturali come prima specificato, rispetto all’approccio alla pandemia, spesso presente nei nostri servizi, ma piuttosto di occuparsi in modo attivo delle disuguaglianze di salute prodotte dal confinamento e di instaurare modalità partecipative
che potranno rivelarsi utili anche in altri settori delle attività di promozione della salute.

Le criticità dal punto di vista degli stranieri

I problemi più considerevoli sono relativi all’obbligo di stare a casa in isolamento: molto spesso queste persone lavorano saltuariamente, o in nero, senza possibilità di accedere a misure di sostegno del reddito e non hanno una rete famigliare che possa sostenerli durante il periodo di quarantena. Inoltre vivono in casa piccole e non possono adottare le misure di distanziamento necessarie. Un altro problema è relativo alla comprensione dei provvedimenti di isolamento in assenza di sintomi. Per le diverse interpretazioni di salute e malattia non sempre è possibile comprendere la necessità di confinamento di una persona “sana”, senza sintomi, ma portatrice dell’infezione.

I mediatori culturali, seppur presenti e utilissimi, non sempre sono in grado di percepire e lavorare sulle differenze di significazione perché appartenenti ad altri contesti culturali o utilizzati come semplici mediatori linguistici o ancora perché non considerati attendibili dagli altri interlocutori.

In questa situazione di emergenza epidemica, attraverso la collaborazione con il progetto “Rete Torino Plurale” del Città di Torino, le comunità di riferimento sono state ritenute una risorsa inestimabile perché utilizzano gli stessi linguaggi e sistemi simbolici. Abbiamo dunque chiesto alle Associazioni di riferimento delle varie comunità un supporto per la comprensione dei provvedimenti e la loro adesione.

Inoltre, anche in assenza quasi totale di fondi pubblici, le comunità si sono attivate per consegnare a domicilio delle persone in isolamento, e le loro famiglie, i generi di prima necessità oltre a essere preziose per l’attività di ascolto e conforto necessarie in una situazione di fragilità emotiva con quella del confinamento.

La prevenzione del rischio Covid-19 a partire dalle culture

Le strategie di prevenzione devono essere sempre situate, ossia adattate ai destinatari dell’intervento.

La prevenzione dei rischi infatti è stata spesso criticata per il suo etnocentrismo e l’accettazione evidente della superiorità della cultura occidentale scientifica. Molti progetti, in diverse parti del mondo, si sono sviluppati per aiutare gli operatori della sanità pubblica a convincere le persone ad agire in modo più razionale, a utilizzare i servizi di prevenzione, a
obbedire agli “ordini” del medico. Questi progetti partono dal presupposto che le credenze relative alla salute devono essere vicine alla corretta conoscenza, sempre biomedica, riguardo la gravità dei disturbi o l’efficacia di particolari comportamenti o terapie.

Aiuto e distanziamento sociale. Foto dal “Coordinamento Aurora

La ricchezza di significati associati alla malattia in culture locali si riduce così a favore delle conoscenze biomediche ritenute scientificamente valide, pregiudicando l’adesione ai comportamenti protettivi e preventivi. Occorre dunque, anche per la pandemia Covid-19, un’analisi culturale approfondita, utile alla pianificazione e allo sviluppo di interventi di promozione della salute e prevenzione, per decidere quando, dove, con chi, come e su quali questioni intervenire. Una thick decription, ossia la relazione tra diversi elementi culturali stratificati, per esempio le credenze dei soggetti sulle cause, sulla cura e la prevenzione, il loro stile di vita e i relativi significati, i legami tra stratificazione sociale e l’accesso ai beni materiali e immateriali ci aiutano a comprendere come sia possibile affrontare direttamente un cambiamento di credenze e di consuetudini.

Di conseguenza il progetto che stiamo realizzando intende negoziare, attraverso processi partecipativi, con i rappresentanti delle comunità strategie di prevenzione del rischio relativo all’infezione Covid 19 da mettere in atto dopo aver compreso le necessità e gli universi culturali di riferimento relativi alle diverse appartenenze culturali.

La collaborazione con la comunità bengalese

A luglio 2020, durante le attività di tracciamento, ci siamo accorti che alcune famiglie di bengalesi residenti a Torino si stavano contagiando. Il contatto con loro non era facile per via della lingua e delle differenti consuetudini legate al concetto di positivo asintomatico e dunque infetto e contagioso, ma non malato (nel senso portatore di sintomi e quindi di sofferenza fisica).

Grazie al progetto Rete Torino Plurale e ai colleghi del Comune di Torino è stato possibile conoscere e collaborare con I_, il capo carismatico della comunità, che ci ha spiegato le difficoltà economiche delle famiglie bengalesi, il cui unico mezzo di sostentamento sono i piccoli negozi a gestione famigliare. In questa situazione è ben difficile far rispettare l’isolamento della persona positiva e la quarantena dei famigliari. I_ e la comunità bengalese, di fronte a questa emergenza, hanno messo in atto forme di supporto sia materiale (spesa e beni di prima necessità), sia psicologico
(attraverso la vicinanza l’ascolto dei membri della comunità).

La comunità Bengalese ha ospitato Sindaca e Arcivescovo durante l’iftar di Moschee Aperte nel 2019. Foto di Massimo Masone. Visita la photogallery!

Ne ha beneficiato anche l’attività di contact tracing perché attraverso il loro aiuto siamo riusciti a contattare e testare più velocemente tutti i contatti dei casi positivi che via via venivano individuati.

La capacità persuasiva di I_, la conoscenza della comunità bengalese e il rispetto che questa aveva nei suoi confronti sono state preziosissime e ci hanno permesso di superare difficoltà e stereotipi che spesso accompagnano le nostre attività di tracciamento.

La collaborazione con la comunità peruviana

Sempre durante l’estate, è stato rilevato dalla polizia municipale un problema di assembramento nei parchi da parte di persone di origine peruviana. Normalmente questi contesti sono utilizzati dalla comunità peruviana per incontrarsi e mangiare insieme nei giorni festivi.

Abbiamo dunque concordato, come gruppo di lavoro Comune di Torino e ASL, con il Consolato e le associazioni della comunità peruviana un’azione di informazione ad hoc sulla rischiosità degli incontri nei parchi in periodo di pandemia. Il consolato ha messo a punto una comunicazione per la comunità peruviana dal titolo “Rispettiamo la nostra città”, dove ha ribadito la pericolosità degli assembramenti non autorizzati e le associazioni si sono fatte carico di diffondere tale materiale tra i cittadini/e peruviani.

ll poter utilizzare linguaggi appropriati e specifici ha consentito la comprensione del rischio e la diminuzione di questa pratica. Proprio queste azioni, effettuate in sinergia con altre istituzioni e terzo settore, vanno nella direzione dell’intersettoralità che tanto viene auspicata nell’ambito della promozione della salute e del Piano di Prevenzione. Costruire reti e poter discutere con il target di riferimento le questioni legate alla salute, ai comportamenti e alle misure protettivecostruisce la strada più proficua per il raggiungimento dei risultati desiderati.

Le prossime mosse saranno la creazione di informazioni ad hoc per ogni comunità sul vaccino covid-19 e la realizzazione di progetti per favorire l’accesso ai servizi sanitari, anche questi ideati insieme alla rete e alla popolazione target.

Questi esempi di pratiche collaborative ci fanno comprendere quando la partecipazione della comunità sia fondamentale sia nelle attività di promozione della salute, sia nel contenimento dei contagi da Covid 19.

Conclusioni

Un grosso passo in avanti è pensare, paradossalmente, alla pandemia come opportunità di produrre salute attraverso forme di sapere e di competenze capaci di valorizzarne le dimensioni sociali e la logica partecipativa.

La situazione emergenziale ha evidenziato la necessità di porre attenzione all’analisi del contesto e dei diversi target di popolazione. Per questo sono necessari strumenti e competenze di ricerca qualitativa, oltre che quantitativa, e processi capaci di far interagire fra loro realtà diverse e spesso lontane.

Come afferma Antonella Bena:

«Per combattere efficacemente la pandemia non serve solo approfondire le
conoscenze sul virus ma anche il modo in cui la gente prende le decisioni, le organizzazioni agiscono, e le comunità reagiscono».

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